Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore le immagini di una strada sventrata, di storie di vita e di impegno per la giustizia e la legalità fatte a brandelli, come carta straccia. Abbiamo ancora negli occhi il sorriso stanco e fiducioso di Giovanni Falcone.
Resta vivido il ricordo di quella primavera siciliana, luttuosa e triste come altre primavere maledette: Portella della Ginestra, Pio La Torre, Peppino Impastato, Giovanni Falcone e molti altri, tutti incastonati in un calendario di martiri laici, a ricordarci che non possiamo mai abbassare la guardia contro la mafia, che anche oggi abbiamo il dovere civile e morale di continuare a lottare.
E il ricordo di Giovanni Falcone è ancora più forte, più potente perché viviamo in un momento in cui un capo del governo può permettersi di definire la magistratura come un cancro; l’immagine di Falcone come baluardo di legalità e di giustizia si staglia ancora più alta, di fronte alla meschinità di chi osa accostare la magistratura ai terroristi e di chi utilizza i propri guai con la legge per le campagne elettorali.
La procura di Caltanissetta ha riaperto le indagini su quel 23 maggio di diciannove anni fa, perché ancora oggi ci sono troppe ombre su quella strage, troppi angoli bui su cui è necessario fare luce. E la riapertura delle indagini è il miglior modo per ricordare Giovanni Falcone e il suo lavoro, è un passaggio necessario per ricostruire le trame di una storia che non è solo siciliana. Da quelle vicende luttuose, dall’accertamento della verità sulla morte di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e di molti altri che hanno sacrificato la loro vita per la legalità, dipendono la qualità della nostra democrazia e la ricostruzione di una storia tutta italiana.