Credo che in queste ore l’Italia intera debba stringersi con affetto intorno a chi vive con grande apprensione, persino con disperazione, il rischio di perdere il proprio posto di lavoro.
Una grande comunità operaia in una grande capitale industriale del Mezzogiorno come Taranto sente il rischio fatale che un provvedimento giudiziario possa far chiudere l’altoforno, l’impianto a caldo, e possa rappresentare la fine di una delle storie industriali più importanti del Paese. Vorrei ricordare che l’Ilva di Taranto fornisce gran parte dell’acciaio che serve all’industria metalmeccanica italiana, che l’Ilva da’ direttamente lavoro a 12.400 persone e indirettamente ad altre 7-8mila persone. Siamo di fronte ad un problema di proporzioni gigantesche.
Per questo, lo Stato, l’Italia in tutte le sue espressioni istituzionali, dal governo centrale a quello regionale, agli enti locali, alle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, tutti gli attori fondamentali hanno lavorato alacremente perché si potesse vincere la scommessa dell’ambientalizzazione degli apparati produttivi della fabbrica.
Coniugare il destino di una comunità ad avere lavoro ed il suo diritto ad avere tutelata la propria salute e l’ambiente. Questo è quello che abbiamo fatto con la legge antidiossina, ed è quello che abbiamo continuato a fare fino ad oggi con i 336 milioni di euro stanziati con il protocollo di intesa per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto che sono l’apertura di un ciclo che avrà programmi e risorse molto più cospicue. Noi vogliamo che l’acciaieria Ilva possa essere radicalmente ripulita però vogliamo anche che quella fabbrica continui a vivere e dare lavoro a migliaia e migliaia di famiglie.
Dobbiamo evitare di giocare in maniera cinica sulla pelle della città di Taranto: c’è chi pensa che tra i due beni da proteggere, uno debba prevalere sull’altro. Noi ci siamo sempre contrapposti sia all’industrialismo cieco che non sentiva l’urgenza di dover compiere un salto anche culturale sull’ambientalizzazione degli impianti, ma ci siamo anche contrapposti anche ad un certo ambientalismo fondamentalista ed isterico che pensa che fra i beni da tutelare non ci debba essere anche il lavoro.
E’ finita l’epoca in cui le ragioni dell’economia e della crescita rendevano l’esercizio anche del diritto alla vita e alla salute un esercizio marginale o retorico.
Oggi è obbligatorio rendere compatibile il lavoro, l’occupazione, l’industria con il diritto alla salute e alla vita.